Nel brigantaggio tanti briganti ma anche tante donne, tra cui sette amazzoni dei Monti Lepini

di Patrizia Carucci

Durante la mia infanzia ho avuto occasione di ascoltare più di una volta dalla voce degli anziani i racconti sulle gesta dei briganti, furti di bestiame, assalti alle carrozze e sequestri di persone facoltose allo scopo di estorcere un riscatto ai familiari.

Nella zona di Cori operava la banda del brigante Antonio Gasbarrone. Originario di Sonnino (12 dicembre 1793 – 1 aprile 1882) si spingeva per le sue scorribande fino a Cori e Cisterna. Sull’Appia e sulla via Pedemontana, che passava sotto il nostro paese e poi verso Monticchio lambendo le paludi pontine che non erano ancora state prosciugate, era solito assaltare le carrozze e rapinare i viandanti. Si narrava di lui che avesse addirittura una relazione con una donna corese dalla quale aveva avuto un figlio.

Ancora più a sud, a Itri, era famigerato Michele Pezza, detto “Fra’ diavolo”, per l’abitudine di mascherarsi durante gli assalti con un saio da frate. Un altro fra i più famosi capibriganti fu Luigi Alonzi detto “Chiavone”, originario di Sora, e della cui banda faceva parte, pensate un po’, un corese e forse mio lontano parente, Sante Carucci nato a Cori e morto fucilato il 29 aprile 1862 a Casali di Lecce nei Marsi dalla guardia nazionale dopo essere stato catturato insieme ad altri briganti.

Oltre la delinquenza

In realtà il brigantaggio meridionale è stato molto di più che un fenomeno delinquenziale. Infatti quando nel 1860 iniziarono le rivolte che portarono all’unità d’Italia, il passaggio al dominio dei piemontesi fu visto dai più come un’invasione. Le popolazioni della Marsica, del basso Lazio (Ciociaria e l’odierno sud della provincia di Latina) e la Terra di Lavoro (il casertano), cioè il territorio fra lo Stato Pontificio e il Regno delle due Sicilie, erano vissute fino ad allora sotto la cappa della corona borbonica e dell’educazione papalina.

Questo territorio di confine aveva una situazione socio-economica molto scadente. La cultura era un beneficio di poche persone, la maggior parte erano dedite all’agricoltura e alla pastorizia, quasi tutti analfabeti. Quando iniziarono le rivoluzioni che portarono all’unità d’Italia il popolo di questo territorio di transizione si trovò diviso in: rivoluzionari favorevoli all’unità d’Italia e ai piemontesi) e reazionari (favorevoli ai Borboni e a Francesco II). I rivoluzionari erano una minoranza e dunque la maggior parte ostacolò in ogni modo l’invasione e le leggi piemontesi del dopo unità dando vita cosi a bande armate che combattevano anche per patriottismo e fedeltà verso i Borboni.

Le Brigantesse

Un altro aspetto poco conosciuto del brigantaggio meridionale è la presenza delle donne fra gli elementi di spicco delle bande, di solito compagne degli stessi capibanda. Maria Teresa Molinari, Elisa Garofali, Nicolina Iaconelli, Michelina Di Cesare (nella foto), Rosa Cedrone, Cristina Cocozza e Maria Capitanio sono i nomi più famosi delle tante donne “arruolate” nelle fila dei briganti.

Partecipavano abitualmente agli assalti mascherandosi da uomo. Spesso dopo un assalto o uno scontro con la milizia ovviamente qualche brigante ci lasciava le penne. Talvolta spogliati, per dare loro comunque una sepoltura, i soldati non di rado con grande sorpresa sotto gli abiti briganteschi trovavano un corpo femminile.

Coraggiose e temerarie, abili nel maneggiare le armi da fuoco, avide e ambiziose, amanti impareggiabili, astute, ma spesso tradite dal loro cuore di mamma. Personaggi femminili realmente esistiti cosi come sono vere le loro gesta, più o meno memorabili, che acquistano una dimensione più ampia caratterizzando a tutto tondo la storia del ribellismo femminile. Sarebbe troppo lungo trattare la biografia di ognuna di queste sette “donne briganti”, sette amazzoni, ma si possono descrivere con questi versi tratti da “Michelina” di Benedetto Vecchio:

“Senza speranza, senza paura
femmena bella, forte e sicura
come agli lupo sempre braccat’
la fame e lu friddu so’ cortellate.
Ma chi combatte contro un invasore
n’ha paura si campa o si mòre”

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